Quella volta nel Laos
IN LAND CRUISER NEL LAOS SETTENTRIONALE
( con la morte sulla strada )
Ricordo, come fosse ora, un pomeriggio di febbraio, nel nord del Laos, non lontano dal confine cinese….
Ogni viaggiatore cerca delle risposte.
Le cerca negli angoli delle strade ma soprattutto nello sguardo delle persone; oppure a volte è il contrario: partiamo con delle risposte e cerchiamo le domande giuste, quelle che non ci siamo ancora mai posti.
E’ soprattutto qui, nel continente indiano e in Indocina, nelle regioni più remote e povere del Laos, che le ho trovate, magari dalle mani di un anziano che, sorridendo, mi regala due biscotti: forse l’unico cibo che ha in casa.
Magari negli occhi lucidi dei bambini.
Sono luoghi dove i turisti di solito non vanno.
Perchè fuori mano e quindi scomodi.
Perchè mancano gli hotel all’occidentale e le comodità ritenute indispensabili.
Qui perfino le strade asfaltate sono rare e molti villaggi non hanno ancora la corrente elettrica.
Ogni sera, con l’arrivo del buio senti sferragliare.
Sono vecchi motori agricoli o da camion, adattati a generatori di corrente.
Restano in funzione quanto basta, il minimo indispensabile.
Perchè il carburante costa.
Poco per noi europei ma molto per loro che a volte guadagnano due dollari al giorno.
Alla ricerca del mezzo giusto
Ricordo, come fosse ora, un pomeriggio di febbraio, nel nord del Laos, non lontano dal confine cinese.
La strada bianca corre nei pressi del fiume che scende tortuoso e infatti lo abbiamo già scavalcato più volte.
Andiamo piano, il fondo è mal ridotto, specie da quando abbiamo lasciato la strada principale inoltrandoci fra basse colline in direzione di uno sperduto villaggio di cui la nostra guida conosce il capo.
Un accompagnatore turistico pratico anche di queste regioni, sentendo dove abbiamo intenzione di inoltrarci, caldamente consiglia di contattare un’agenzia dotata di auto fuoristrada.
Trovare chi disponga di un 4×4 affidabile si dimostra abbastanza complicato ma alla fine, con il passa parola, si presenta al nostro albergo un simpatico ometto dall’aria efficiente e dallo sguardo vispo ma diretto, al volante di una Toyota Land Cruiser FJ40 .
Si tratta di un modello solitamente a tre porte ma questo esemplare, ne sfoggia 5 e ha molto spazio a bordo anche se mostra una pregevole collezione di ammaccature.
Il nostro autista, che ci farà anche da guida in questa escursione di tre giorni nell’estremo nord del Paese, si scusa indicando con la mano il traffico caotico che ci sfila accanto. Come dire che in quelle condizioni è impossibile che la carrozzeria resti sana.
Visay, questo il suo nome, appartiene all’etnia Katu, e mi garantisce una meccanica in ordine.
“Le moteur marche très bien” – dice con tono sicuro – “et les freins aussi, monsieur: ils sont presque neufs!”
Adesso…che i freni siano nuovi (anche “quasi nuovi” come sostiene!), da queste parti ho qualche difficoltà a crederlo.
Perchè è difficile trovare i ricambi e se anche li trovasse non avrebbe di che pagarli.
Però l’amore per quell’auto la vedo nel suo sguardo e tutte le parti che posso vedere sono lustre e ben tenute, così mi convinco: abbiamo trovato uno innamorato della sua macchina!
Come ulteriore prova, prende una coperta e mi invita a usarla per sdraiarmi sotto la vettura e verificare l’assenza di ruggine poi spalanca il cofano mostrando con orgoglio un motore decentemente pulito con appena qualche traccia d’olio.
Prima di partire…
Nei pressi di un villaggio ci fermiamo a una “stazione di servizio” dove un ragazzino tutto pelle e ossa ci rifornisce pompando a mano la benzina da fusti per petrolio.
Su di un basso tavolino sono allineate file e file di bottiglie in plastica da acqua minerale piene di benzina o gasolio per chi ne vuole acquistare solo pochi litri.
In un francese insospettabilmente elegante (ma sempre più laotiani preferiscono l’inglese) Visay si dilunga a raccontare la sua passione per i motori e in particolare per i fuoristrada Toyota che definisce i migliori al mondo per affidabilità e prestazioni en tout-terrain, come dice lui, ovvero off road.
Prima di lasciare il villaggio sostiamo nella zona del mercato dove, accanto a una massiccia balaustra in pietra due donne hanno messo in vendita degli infradito di seconda mano.
Buche e avvallamenti sono frequenti e stretto il percorso, fra coltivazioni di tè e caffè, le colture più diffuse nella parte settentrionale del Paese.
Ad ogni sobbalzo la tanica militare di benzina mi sbatte contro il ginocchio ma c’è poco da fare: da queste parti ogni auto ne porta a bordo almeno una.
La dotazione tecnica si completa con una mazza, un rotolo di corda, un grosso cacciavite, del tubo in gomma e una cannetta dall’aria preistorica.
Il tutto sta in un sacco di tela marcato con misteriosi geroglifici.
Tra crepe e polvere, proseguiamo
Abbandonata la statale e superata Phongsali, capitale dell’omonima provincia, dirigiamo verso le basse montagne che vedo davanti a noi.
Da qualche minuto il terreno circostante appare rosso come nei campi da tennis e molto polveroso, tanto che dobbiamo rallentare causa la polvere che ostacola la visuale.
Per dare una mano, ma anche per la sicurezza di tutti, tengo anch’io gli occhi sulla strada, segnalando avvallamenti e crepe profonde create dalle piogge.
A un tratto, nel polverone davanti a noi, forse lasciato dal recente passaggio di un mezzo pesante, mi pare di scorgere qualcosa di grosso e scuro coricato sulla strada.
“Doucement, Visay, doucement”
Lui rallenta ancora, temendo sia un animale, magari un bufalo d’acqua.
Una bicicletta e una persona, ecco cosa ingombra la stretta carreggiata, ma perchè non si sposta?
Quel filo sottile…
Mano a mano che ci avviciniamo e l’immagine si fa più chiara davanti a noi, ci rendiamo conto che si tratta di un corpo, steso di schiena sulla bicicletta.
Una ruota ancora gira e la posteriore appare contorta, quasi arrotolata su se stessa.
Dalla nostra visuale, molti particolari restano indistinti, mentre Visay allarga a sinistra.
Vedo un bel viso rivolto verso l’alto, immobile, lunghi capelli di ragazza, gli occhi spalancati.
Su di essi già sta calando un velo di polvere.
Non so resistere e distolgo lo sguardo.
Un impulso fugace, qualcosa di cui ho subito vergogna:
l’istinto di alzare la Nikon e scattare.
Gli occhi velati di polvere sono un dettaglio che anche dopo anni resterà indelebilmente scolpito nella mente.
Dal sedile posteriore i miei compagni di viaggio, impegnati in una discussione accesa e con scarsa visuale verso il davanti, non si sono ancora resi conto di nulla.
Faccio cenno a Visay di proseguire e decido di non dire nulla agli altri: servirebbe solo a farli stare male.
Una regola non scritta
In Paesi come questo, ma anche in Africa, se capita d’imbattersi in situazioni analoghe, la regola è non fermarsi mai ma proseguire fino al più vicino posto di polizia o dell’esercito e darne comunicazione.
Fermarsi sul luogo dell’incidente ci esporrebbe a possibili rappresaglie, facendo credere agli abitanti del luogo, magari parenti della donna investita, di essere noi i responsabili.
Date le circostanze sarebbe difficile spiegare e in un attimo la faccenda potrebbe diventare molto pericolosa.
Si racconta di casi in cui le persone sopraggiunte sono state massacrate di botte dai parenti e non c’è stato modo né tempo per chiedere o dare spiegazioni.
Sono luoghi remoti, dove vigono altre regole, dove la differenza tra vivere e morire può talvolta avere lo spessore d’un sottile, fragile filo d’erba.
Alberto Angelici