Birmania, un viaggio nel tempo

Oltre il camper
19 Novembre 2020
Birmania on the road

BIRMANIA

UN VIAGGIO A RITROSO NEL TEMPO

 

Tre settimane on the road per le polverose strade della Birmania / Myanmar con moglie e due collaudati amici,  autista e guida-interprete.
Un viaggio attraverso lo spazio e  nel tempo man mano che dalla capitale Yangon ci si sposta  lentamente verso nord.
Siamo in un Paese  rimasto  chiuso al turismo  fino a pochi anni fa da un regime militare duro e dittatoriale che al momento sembra aver indossato i guanti morbidi…almeno nei confronti dei visitatori, che portano valuta pregiata.

 

L’ARRIVO

Yangon International Airport.
Viaggio lungo e contorto,  via Amsterdam e Canton, dove il duty free cinese  mi “offre” un caffè mediocre a 5 dollari.

All’esterno l’aria è calda e profumata.
Sa di fiori, spezie e polvere.
Nelle strade ritrovo  il  traffico caotico delle città indocinesi.
Meno anarchia che a Phnom Penh, forse, dove  ti aspetti incidenti rovinosi a ogni incrocio.  Ritrovo camioncini decrepiti,  tricicli,  carretti e autocarri carichi all’inverosimile di merci  d’ogni genere.
E’ un’umanità variopinta e compostamente indaffarata che ho imparato ad amare  nei precedenti viaggi.
Solo in questo momento,  mentre  guardo fuori dal mini-van,  il naso schiacciato al vetro, mi rendo conto di quanto mi sia mancata.

 

 

Ritrovo i pick-up gremiti di persone  aggrappate ad ogni possibile appiglio e come ogni volta prima mi chiedo come facciano a non cadere.
Sono i taxi dei birmani e ognuno di loro paga al  conduttore la stessa cifra, anche se ha trovato posto sul tetto o sta in bilico sul predellino con la sola punta di un piede.

 

Birmania

 

 

UN POPOLO DEVOTO

La devozione la  incontri a ogni passo,  nei gesti della gente,  nelle mille statue di Budda, nelle pagode scintillanti d’oro offerto dai fedeli, nei tempietti sparsi nelle vie, a volte di foggia  tanto puerile e approssimativa da fare tenerezza.
L’attaccamento al culto è una presenza costante,  palpabile come qualcosa di fisico.
Ovunque poso lo sguardo  trovo il rosso bruno d’una tonaca di monaco o il  rosa dell’omologo femminile.

 

Uomini e donne,  giovanissimi, adulti o anziani,  tutti  hanno il  cranio rasato a zero.
Spesso  un pentolino gli pende dalla mano.  È per le offerte di cibo che ricevono nelle case.
I monaci  maschi  ottengono sempre cibo già cotto,  mentre alle monache  si offre  solamente riso crudo.

In Birmania i monaci sono più di un milione,  su di una popolazione di quasi sessanta, le donne non votano e di norma percepiscono salari molto più  bassi degli uomini.

 

 

 


 

L’ACQUA

 

Ovunque e da sempre l’acqua costituisce la via più agevole per trasportare persone e cose.
Il Myanmar non fa eccezione: canali,  fiumi e laghi  sono vere e proprie autostrade liquide, solcate da un flusso continuo di  imbarcazioni  di ogni foggia e  dimensioni.

Chiatte stracariche  di merci, animali vivi,  persone,  fusti di carburante,  casse,  rotoli, involti di ogni genere,  legname,  bambu, motociclette e bici,  stuoie intrecciate,  sabbia e mattoni cotti al sole,  parti di ricambio e sacchi,  montagne di sacchi pieni di grano e riso.
Sottili e agili scialuppe sfrecciano da ogni parte,  spinte da motori spesso  di origine agricola o  stradale.
Sono  montati a poppa,  di solito su di una piastra  che il  pilota fa ruotare  mediante un palo.

Solidale al motore si trova l’albero di trasmissione  che termina con l’elica.
In tal modo, ogni  spostamento dell’intero complesso motore-albero-elica  genera un cambiamento di rotta e non serve alcun timone.
Molte,  specie nelle aree più lontane dai centri abitati e nei laghi,  le canoe propulse da un solo remo a poppa che il rematore aziona stando in piedi e utilizzando a volte le braccia,  altre volte un solo braccio e una gamba, con la caviglia che tiene agganciato il remo.
In tal modo  resta libero  un braccio con il  quale l’uomo può, all’occorrenza,  pescare con una piccola rete circolare.

 

 


I MERCATI

 

In  questo Paese i supermarket non ci sono ancora e proprio ora stanno costruendo il primo, a Yangon.

Il  mercato all’aperto,  fatto di banchi disseminati per un piazzale in terra battuta ha ancora  una funzione fondamentale nel tessuto sociale birmano,  anche come luogo d’incontro e di scambio.

Di mercati, grandi e piccoli,   ne incontri ovunque, viaggiando per il  territorio.
Frutta,  verdura,  manufatti come  i  machete e i coltelli da cucina, pesce fresco o essiccato,  carne,  stoffe, piatti e tegami,  stie di giungo dalle quali fanno capolino polli e galline,  nei mercati  si vende di tutto.
Fin qui è  come da noi in Occidente dove però non trovi quasi più l’artigiano e i prodotti del suo ingegno, della sua abilità.

Quel che nei nostri mercati manca da anni è il  martellare  sul  metallo del battirame o quello più sincopato del  ciabattino che rifaceva i tacchi seduta stante mentre il  cliente attendeva con i piedi scalzi appoggiati su di un foglio di giornale gentilmente offerto dal bottegaio.
Manca il  ruvido ronzio dell’arrotino e le frasi allegre e argute con le quali attirava l’attenzione delle massaie.

Solo di recente mi sono reso conto  di quanto sia cambiato il sottofondo sonoro dei nostri mercatini e di come si sia appiattita la proposta,  ridotta la varietà delle merci.  Perché sul posto non si produce più nulla, l’artigianato sta scomparendo e la mercanzia è  lì, calata sui banchi, silenziosa e immota,  spesso sempre uguale, come se tutti  gli ambulanti si servano dal medesimo  grossista.

 

 

LUNGO LE STRADE: 

 

Le Strade  birmane più importanti sono spesso  in buono stato,  di solito asfaltate talune volte in cemento.
La media oraria cala invece molto rapidamente  quando  arrivi  su tracciati  minori che i monsoni e l’incuria hanno ridotto a mal partito.
Allora è  realistico pensare di percorrere 40/50  chilometri in un’ora, per evitare buche,  carretti, vacche ossute,  cani, e autocarri ultra-carichi.

Quando si è  in strada, capita di imbattersi in improvvisi rallentamenti.
D’un tratto ti trovi fermo, in fila.
Nessuno suona,  nessuno si agita, tutti attendono con filosofica pazienza, qualcuno scende e s’accuccia nell’ ombra dei mezzi.

Davanti a te il tracciato è avvolto dalla polvere dei carretti tirati da due buoi capisci di essere  entrato in un’area di cantiere.

E CHE CANTIERE…

Niente mezzi meccanici, intorno,  non bulldozer o scavatori o  gru, soltanto una quantità di figure che si muovono indistinte o stanno carponi, inginocchiate a terra,  il  capo chino.
Ti rendi conto che fanno qualcosa,  in quella nuvola  rossiccia alzata dal  vento e dal via vai dei carri.
Tengono fra le mani attrezzi che al momento non identifichi: poi capisci che stanno  costruendo il fondo di ghiaia di una massicciata e che lo  fanno a mani nude.

Pezzi di pietra grossi come pugni vengono scelti,  uno per uno, da mucchi alti come camion,  caricati in caldarelle metalliche che sembrano wok o anche su teli  che le donne portano a  quattro mani accanto al tratto di strada da rifare.
Un reticolo di fili colorati, tesi fra paletti di bambù, indica il livello preciso  che la ghiaia deve avere.

Nella fase successiva  altri di loro,  o meglio altre,  visto che  prevalentemente di donne si tratta, sempre a mano e con l’ausilio di vecchi bidoni fissati a un manico, coleranno il  bitume.

A MANI NUDE

Poco distante, un’apposita squadra ha nel frattempo liquefatto il catrame appoggiando i fusti direttamente sulle fascine accese.
Senza guanti , il  capo avvolto in un telo che  copre cappello e viso,  ai piedi nudi semplici infradito,  nessuna protezione; in tal modo affrontano giornate di dieci ore sotto un sole  che non scherza.
Tutto questo dopo aver cercato una conoscenza, una raccomandazione, perché  di  un ruolo ambito si tratta, non facile da trovare.
Per meno di un euro al giorno.
Eppure  quando mi avvicino,  lampeggiano i sorrisi sotto i cappelli,  mi parlano nella loro lingua e rispondo  con lo sguardo e il sorriso.

 

 

 

IL COMMERCIO

 

Le contrattazioni commerciali si svolgono in strada o sotto tettoie di stuoie e bambù, più che nelle botteghe,  piccole, buie e stracolme d’oggetti.
La polvere li ricopre d’un velo di polvere che con il tempo s’inspessisce conferendo loro un unico, identico colore.

Su  tavoli improvvisati,  d’assi recuperate e  foglie di palma, donne sorridenti o vecchi senza denti  propongono  banane  piccole e verdi o lunghe e gialle e screziate di nero,  ananas e manghi,  papaie e altri frutti  sconosciuti all’Occidente,  cipolle e cavoli.

 

 

 

In altre postazioni friggono misteriosi grumi gialli in olio di palma o propongono un dolce locale, zucchero di canna aromatizzato con curcuma o zenzero.
Due donne sorridenti arrotolano a velocità incredibile dei sigari verdi come lattuga.

 

VILLAGGI E ORTI GALLEGGIANTI

 

Il  lago Inle, è formato in realtà da due distinti bacini collegati fra loro da un lungo canale e si trova al centro del Myanmar a circa 900 mt. sul  livello del mare. Lungo una cinquantina di chilometri, ha una profondità media di due metri soltanto.
Questo ha favorito la nascita di  una serie di  villaggi  su palafitte di teak a poca distanza dalla riva.

Le costruzioni,  interamente in  bambù e stuoie vegetali, comprendono anche negozi, templi,  pagode e qualche ristorante.
In tal modo si sono formati dei veri e propri quartieri definiti da canali lungo i quali scorre il traffico di canoe  a remi, simili alle    gondole veneziane, e scialuppe a motore lunghe spesso più  di venti metri.
Gli edifici,  alti sull’acqua,  sono di solito costituiti da due piani,  il  più  basso utilizzato per tutte le normali attività di casa durante la buona stagione.
Lì,  in ampi spazi  aperti e freschi, la famiglia  vive, cucina e  dorme, consuma i pasti, immagazzina il cibo e altri materiali.
Al piano superiore, chiuso da fitte e robuste stuoie e munito di  scuri,  ci si rifugia nei mesi in cui i monsoni infuriano e la temperatura può scendere sotto i dieci gradi.

 

il lago Inle

 

 

Nei pressi  di questi agglomerati  palafitticoli sorgono gli orti, ma non orti normali,  bensì orti galleggianti.
Si tratta di vasti graticci di sottili bambù intrecciati s e coperti da uno spesso strato di erbe lacustri e  da una crosta di terra presa sul fondo del lago.
Su questa base piantano gli ortaggi.

E’  normale veder sfilare per i canali le piroghe cariche di terriccio e cesti di pomidoro appena  raccolti mentre gli orti ondeggiano al loro passaggio come turaccioli in una pozzanghera.

 

 

UN PAESE DA VISITARE

 

Non ancora corrotto dal turismo di massa, indenne da negozi  che propongono Prada e Ralph Laurent,  privo di McDonald, offre l’immagine  tradizionale e genuina di un Paese asiatico legato a tradizioni antiche, con tutti i  pregi e i difetti che questo comporta.

I bambini non ti corrono incontro per chiedere monetine ma solo per toccarti, per stringerti la mano,  sentire la tua voce e,  dopo un momento di sorpreso stupore,  ridere contenti.
Le carte di credito sono per ora relegate a pochi hotel di lusso (e solo se avvisi quando prendi alloggio).

I nostri cellulari non funzionano ma un massaggio, un vero massaggio, può durare anche un’ora e costare appena cinque dollari,  la gente è  di solito educata e gentile.

 

 

In un villaggio del nord, dove la totale assenza di mezzi meccanici crea davvero l’illusione di essere in un altro secolo, una donna anziana  si rivolge a mia moglie nella sua lingua,  gli  occhi spalancati a piattino.

“Ehehe… – ridacchia divertito  Myo, la nostra guida –  chiede se può toccarti.  Dice di non aver mai visto una pelle tanto chiara, capelli così biondi”.

Mia moglie annuisce,  ammutolita dalla sorpresa e anche imbarazzata. La piccola donna  alza una mano e lentamente le sfiora il  braccio, più volte, timorosa. Aggiunge qualcosa,  quasi bisbigliando.

“Dice che sei così liscia…così liscia!”

 

 

Un Paese di certo denso di paradossi e contraddizioni, il Myanmar, in bilico fra medio evo e terzo millennio, dove  un visitatore pranza ad aragosta con appena dieci dollari ma non pensa che per un’operaia quella cifra rappresenta la fatica di due settimane.
Dov’è normale che a fianco di una scintillante SUV  avanzi lentamente una fila di carretti con le ruote in legno e due buoi davanti.
Dove puoi trovare la bottega di un fabbro accanto a un hotel  a dieci piani e a poca distanza da un palazzo tutto specchi scorre un fiume solcato da  canoe  a remi e le capanne non hanno la luce elettrica.

Non aspettare, vacci ora.
Ma ricordati che vorrai tornarci ancora.
Dopo.

 

Alberto Angelici

 

Alberto Angelici

Viaggiare, per lui,  è propedeutico a tutto il  resto,  quale strumento indispensabile per conoscere il mondo, nuove situazioni, persone... Guardare, vedere, ragionare, comprendere, conoscere, amare, crescere è  il paradigma della sua vita.